Vetrina Festival: Angelo Pulpito, “Anch’io ho fatto il Sessantotto”

 

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Parigi 14 Luglio 2008
Carissima Matilde
ho appena terminato di leggere la tua ultima lettera. Certo a pensarci Matilde il nostro rapporto epistolare è sicuramente fuori dal tempo, siamo abbastanza bizzarri entrambi nel rifiutare la tecnologia e nel prediligere questa desueta forma di comunicazione. Ma, forse, noi il nostro tempo non lo condividiamo, non ne condividiamo la frettolosità, la sostituzione della comunicazione anche prolissa con i sintetici messaggi oggi in uso. Non credo che possa dipendere dalla nostra età perché a pensarci anche da ragazzi sfioravamo il nostro tempo. Ricordi il periodo dell’eskimo? Nel ’68 pur condividendo e partecipando alla rivoluzione dei costumi eravamo additati dai nostri compagni per il modo classico di abbigliarci. Sì dobbiamo ammetterlo entrambi, sotto certi aspetti siamo conservatori e, che poi ciò dipenda da eventuali nostre insicurezze nell’inserirci nel presente o peggio ancora nel proiettarci nel futuro, poco importa. Scusa le divagazioni, ma così sentivo di scriverti e così mi sono espresso. Magari tu vorrai sapere in forma più concreta del mio stato di salute, della mia quotidianità qui a Parigi. Allora, posso rassicurarti sul mio stato di salute, sono perfettamente in forma e Parigi è sempre bella così come l’hai vista tu circa trent’anni fa. Quanto tempo Matilde è passato dal nostro matrimonio e dal nostro viaggio di nozze a Parigi. Ricordi l’entusiasmo di entrambi nel visitarla? Parigi era vissuta da noi come luogo simbolo della libertà, la
città della presa della Bastiglia, del furore del popolo contro la monarchia. Sentivamo entrambi nel percorrere le vie quella razionalità illuministica fonte di libertà di pensiero. E a proposito di pensiero sono davvero felice che Marco, così come mi hai scritto, abbia preso la laurea in filosofia. Mi spiace soltanto di non essere stato presente nel giorno della sua laurea, avrei voluto congratularmi con nostro figlio personalmente, ma così non poteva essere, lo sapete tutti in famiglia non occorre che mi giustifichi.
Ti mando un forte abbraccio
Agostino
P.S. Scusa per il contenuto della lettera, nel rileggerla mi sono reso conto che somiglia ad una seduta psicoanalitica. Non sono stato molto razionale, è come se mi fossi lasciato andare alle libere associazioni. Ma, tu lo sai, io con te mi esprimo “senza remore”. Ciao, rispondi presto.

Taranto 28 Luglio 2008
Caro Agostino
sei stato capace nella tua ultima lettera di farmi compiere un viaggio a ritroso nella nostra vita. Hai parlato di eskimo, di quando non avevamo raggiunto neanche la maggiore età. Ho ricordato il nostro entusiasmo nel voler cambiare il mondo e ho ricordato i difficili rapporti con la mia famiglia in quel periodo. Agostino, tu li hai conosciuti i miei genitori, sai bene quale era la loro mentalità. Mio padre soprattutto, che Dio lo abbia in gloria, era di un perbenismo borghese spaventoso. Mi hai fatto sorridere quando mi hai scritto del nostro abbigliamento classico, eppure se sapessi quante lotte in famiglia per dare un tocco di modernità alle mie gonne. Sì parlo dell’orlo che cercavo di accorciare per essere più, come si dice a Parigi “à la page”, sottoponendomi alle più aspre critiche dei miei genitori. Per noi ragazze la liberazione passava anche da lì, da una gonna appena sopra il ginocchio. Ma non era poi così semplice perché alla fine, come dice il buon Freud, ognuna di noi doveva fare i conti con il proprio super-io. Ah se sapessi al di là delle apparenze le conversazioni tra noi ragazze quanto erano impregnate di conflittualità interiori, di sensi di colpa. Da un lato partecipavamo con voi ragazzi anche quando decidevate di abbattere dalle porte dei bagni della scuola le distinzioni di sesso, ma dall’altro ci chiedevamo se fosse eccessivamente precipitosa la via intrapresa. Ah, a proposito, lo sai che la ragazza di Marco l’altro ieri ha festeggiato il suo compleanno in un locale in cui le sue amiche avevano organizzato uno striptease maschile? Ma torniamo a noi, o meglio a noi donne sessantottine, donne unite a voi uomini senza distinzione di classe. Ricordo Maria mia cugina di famiglia alto-borghese che si fidanzò con Gino l’operaio e con lui distribuiva volantini di protesta alle porte dell’Italsider. Era un bravissimo ragazzo Gino, chissà come finì la loro storia e che cosa determinò poi il matrimonio tra Maria e Ciro, quell’imprenditore che tu Agostino non hai mai voluto frequentare. Accidenti, penso di aver divagato molto in questo mio scritto, ma come dici tu Agostino anch’io con te mi esprimo “senza remore”. A presto
Matilde
P.S. Marco si sta dando da fare per cercare un’occupazione, speriamo bene. Ciao.

 

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