Vetrina Festival: Marco Bora, “Erik Satie e gli altri”

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“Erik Satie e gli altri”  di Marco Bora
Capire Satie è un’impresa ardua. A dispetto delle apparenze e nonostante la riservatezza della sua vita privata, Satie ha lasciato involontariamente molto di sé nelle relazioni interpersonali. Esse non rimangono confinate al mondo della musica: la lunga amicizia con Debussy e la sincera ammirazione per Stravinskij risultano quasi marginali per un compositore che da sempre ha amato circondarsi di pittori ed artisti di vario genere. Una tesi di laurea singolare per indagare questa figura da un nuovo punto di vista.
2.3 Un cadeau per Erik Satie
Quando nel 1920, con l’arrivo di Tristan Tzara, si tengono a Parigi le prime manifestazioni dada, l’esecuzione dei Trois Morceaux en forme de poire durante le serate dada è d’obbligo.
Con quest’opera, provocatoria non tanto per il contenuto quanto piuttosto per il titolo, Satie si era infatti involontariamente guadagnato l’attenzione dei dadaisti. Nel 1919 Picabia lo aveva inserito in Mouvement Dada (fig.9), un inchiostro su carta in cui comparivano, all’interno dello schema di funzionamento di una sveglia dada, i nomi degli aderenti al movimento, autentici o immaginari.
Satie ancora una volta si era dimostrato anticipatore di alcune nuove istanze che Dada avrebbe poi fatto proprie come il rifiuto dei canoni estetici tradizionali, dell’accademia e dell’arte ‘borghese’.
Alcune parole d’ordine della futura avanguardia si ritrovano già racchiuse all’interno di Le Piège de Méduse, commedia lirica in un atto composta nel 1913. Tutta giocata sul nonsense linguistico, quest’opera umoristica prevedeva sette intermezzi musicali in forma di danze tradizionali – quadriglia, valzer, mazurka, polka – interpretate da uno scimpanzé.
La rivoluzione lessicale e la frantumazione sintattica portate in scena, la ‘spontaneità’ assieme al gusto per la sorpresa ed il disgusto per il luogo comune, sono elementi con cui Parigi avrebbe a breve familiarizzato.
Le Piège de Méduse sarà rappresentata per la prima volta pubblicamente il 24 maggio 1921 al Théâtre Michel di Parigi diventando subito un oggetto di culto per i dadaisti che acclameranno il compositore come musicista-profeta dell’intelligenza letteraria dada.
Sebbene il rigore intellettuale in Satie sia rimasto tale fino alla fine, numerosi sono stati gli elementi di contatto con lo spirito dada, presenza costante nei suoi ultimi anni. Similmente si può ritrovare Satie direttamente coinvolto in alcuni momenti cruciali per il movimento a Parigi.
Oltre all’aiuto di Milhaud, è anche grazie all’appoggio dei dadaisti che Satie riuscirà a realizzare il progetto della Musique d’Ameublement, l’8 marzo 1920 alla Galleria Barbazanges durante l’intermezzo di Ruffian toujours, truand jamais, commedia di Max Jacob, in concomitanza con la vernice di un’esposizione di disegni di bambini. Nel programma di sala viene presentata come una «musica destinata a ricoprire i silenzi come le fodere i mobili in letargo». «Il suo unico scopo è quello di produrre una vibrazione ed adempire alla stessa funzione della luce, del calore e del comfort in tutte le sue forme». Una musica da non ascoltare.
Per ammobiliare la sala al meglio facendo sembrare che la musica provenisse da tutte le parti, Satie aveva posizionato i cinque musicisti in un modo singolare all’interno della sala: i clarinetti in tre diversi angoli, il pianista nel quarto e il trombone in un box del primo livello.
All’intervallo i musicisti iniziarono a suonare simultaneamente ma non in sincrono i pezzi predisposti da Satie, all’interno dei quali egli astutamente aveva inserito citazioni di compositori che non stimava particolarmente tra cui si potevano riconoscere pezzi di Ambroise Thomas e di Saint-Saëns.
L’esperimento però fallì miseramente quando gli spettatori, sordi agli inviti di Satie a camminare, mangiare, bere, restarono ai loro posti predisponendosi all’ascolto.
Nonostante questo primo tentativo poco riuscito, la ‘musica d’arredamento’ avrebbe continuato ad esercitare un irresistibile fascino tra i dadaisti.
Le motivazioni per le quali questi sono considerati i componimenti più dadaisti di Satie sono numerose: la Musique d’Ameublement pone in discussione la sua stessa identità come musica similmente alle questioni ontologiche poste in quel periodo dal mondo dada; è una musica aleatoria, non per se stessa ma nel suo rapporto con un uditorio, come dovuta al caso è stata la scelta del nome ‘dada’.
Lo stesso ‘manifesto’ di questa musica, in realtà una lettera a Cocteau scritta probabilmente una settimana prima dell’evento alla Galleria Barbazanges, si dimostra essere molto dada nell’imporre questa novità: «Esigete la musica d’Ameublement». «Chi non ha mai ascoltato Musique d’Ameublement ignora la felicità».
L’idea di fondo era in realtà già stata elaborata qualche anno prima durante una conversazione con Fernand Léger:
Bisognerebbe comporre una musica d’arredamento che conglobasse i rumori dell’ambiente in cui viene diffusa, che ne tenesse conto. Dovrebbe essere melodiosa, in modo da addolcire il suono metallico dei coltelli e delle forchette, senza troppo imporsi, però, senza volervisi sovrapporre. Riempirebbe i silenzi, a volte pesanti tra i commensali. Risparmierebbe il solito scambio di banalità. Neutralizzerebbe allo stesso tempo, i rumori della strada che penetrano, indiscreti, all’interno.
Nel 1917 Satie aveva composto alcune minuscole partiture caratterizzate da un piccolo numero di misure da ripetere «a volontà, ma non di più»: Carrelage phonique peut se jouer à un lunch ou à un contrat de mariage e Tapisserie en fer forgé pour l’arrivée des invités, che ricordano il Prèlude en tapisserie del 1906 in cui alcuni gruppi di note ritornavano regolarmente come i motivi decorativi di una carta da parati o di un tappeto. Ed è proprio in questa carta da parati che Guarnieri Corazzol (1979) vi trova l’essenza della tecnica d’ameublement : un principio decorativo fondato sull’idea seriale.
Il carattere ‘industriale’ di questa musica rimanda facilmente ai Rotoreliefs, i dischi ottici «accessibili a tutte le borse» di Marcel Duchamp, ideati unicamente per essere commercializzati. Questi dischi di cartone con stampati dei motivi a spirale, concepiti all’inizio degli anni Venti, vengono ufficialmente presentati da Duchamp nell’agosto del 1935, a Le concours Lépine, salon des inventions. Egli invitava a farli girare su un grammofono per far apparire le immagini in rilievo, azione che implicava simultaneamente la produzione di una musica silenziosa.
Duchamp e Satie si erano conosciuti nel 1919, ma le loro poetiche risultavano avvicinabili già da prima.
L’inclinazione per l’esoterismo, il gusto per il calembour e per il gioco, l’utilizzo del numero tre, gli objets trouvés musicali di Satie che trovano il loro corrispettivo nei ready made di Duchamp tuttavia non scardinano una differenza di fondo: contrariamente a Duchamp, Satie non vuole occultare le sue intenzioni più profonde, ma invitare alla riflessione, alla partecipazione, per fare dell’interlocutore un suo complice.
Tra la folta schiera di artisti, sarà in particolar modo un americano di nascita ma europeo di cultura, che negli anni venti stava vivendo pienamente lo spirito dada parigino, a dover molto a Satie: Man Ray.
I due si conoscono il 3 dicembre 1921 in occasione della prima esposizione di Ray a Parigi alla Librairie Six. Il loro incontro risulterà tanto particolare quanto produttivo; Man Ray nella sua autobiografia lo descrive così:
Un curioso omino loquace, sulla cinquantina, mi si avvicinò, portandomi davanti ad uno dei miei quadri, con la sua barbetta bianca, gli antiquati occhialetti a molla, la bombetta, il cappotto e un ombrello nero, sembrava un impiegato di banca o un funzionario delle pompe funebri. I preparativi dell’esposizione mi avevano stancato, la galleria non era riscaldata, avevo freddo e lo dissi in inglese. Mi rispose in inglese, mi prese sottobraccio e mi portò al caffè all’angolo, dove ordinò due grog. Solo allora si presentò: Erik Satie e continuò a parlare in francese. Risposi che non capivo. Mi lanciò uno sguardo tra malizioso e divertito e disse che non aveva nessuna importanza. Bevemmo ancora parecchi grog. Cominciavo a riscaldarmi e a sentirmi allegro.
Grazie all’influsso di Satie, Man Ray fabbrica in quello stesso giorno il suo primo oggetto dada made in France. La narrazione di Man Ray a questo punto si fa ancora più interessante:
Usciti dal caffè, entrammo in un negozio dov’erano esposti degli utensili domestici di vario tipo. Notai un ferro da stiro – del tipo in uso con le stufe a carbone- e, con l’aiuto di Satie, lo comprai, insieme a una scatola di chiodi da tappezziere e a un tubetto di colla. Tornato in galleria incollai una fila di chiodi sulla soletta del ferro, intitolai il tutto Cadeau e lo aggiunsi alla mostra. Era il primo oggetto dadaista che facevo in Francia.
Questo singolare oggetto, in cui tutto è beffa e contraddizione a partire dal titolo, è simile nel suo spirito polemico contro i formalismi e le convenzioni borghesi a quella tappezzeria in ferro battuto di cui sopra, composta qualche anno prima per ammobiliare l’arrivo degli invitati.
Satie, fotografato in numerose occasioni da Man Ray durante i pochi anni della loro amicizia (fig.10), influenzerà quest’artista polivalente anche dopo la sua morte.
Nel 1959, per la prefazione al catalogo della sua mostra all’Institute of Contemporary Arts di Londra, Man Ray parafraserà Ce que je suis, scritto comparso in Mémoires d’un amnésique nel 1912, sostituendo la parola «suono» con la parola «colore», «musica» con «pittura», «filofonia» con «filofotologia» e firmandolo «con l’aiuto di Erik Satie».
Dieci anni più tardi, a conferma dell’importanza avuta nell’immaginario collettivo dai Trois Morceaux en forme de poire, tradurrà i tre pezzi in forma di pera in tre opere diverse: un olio su tela, una litografia ed un oggetto (fig.11). Concepisce una pera di considerevoli proporzioni, sola e immobile sullo sfondo di un cielo annuvolato che rappresenta una sorta di monumento alla personalità e all’individualismo: «La pera è l’unico frutto che abbia veramente una personalità. Non esistono due pere che abbiano lo stesso sapore. Sono sempre diverse».
Tra il 1921 ed il 1922 un intenso dibattito teorico si sviluppa all’interno del movimento dadaista.
Con la sua attività di critico e conferenziere Satie cerca di dare il proprio contributo mantenendo inizialmente una posizione equidistante nel momento in cui Breton rompe con Tzara. Questa rottura era in realtà solamente l’ultima battaglia di una guerra che da anni si stava combattendo a Parigi per la conquista del potere culturale. Davanti all’evidente tentativo di Auric, Breton e Delaunay di isolare Tzara, sarà però proprio Satie a presiedere una sorta di tribunale di eccezione, tenutosi il 17 febbraio del 1922 alla Closerie des Lilas, nel corso del quale André Breton verrà messo alle strette.
Satie in una lettera datata 7 luglio 1923 confesserà a Tzara: «Lei mi piace, …ma non mi piacciono né Breton, né gli altri»; il giorno precedente Satie era salito sul palco assieme alla pianista Marcelle Meyer (1897-1958) durante la Soirée du Coeur à Barbe organizzata da Tzara al Théâtre Michel e aveva visto la loro esecuzione interrotta dall’irruzione in sala della polizia per calmare la platea impegnata in alterchi.
Quando Breton nel 1924 dà il via al Surrealismo, Satie si avvicina all’Istantaneismo di Picabia, entrato anch’egli nel frattempo in conflitto con Breton. La scelta satiana potrebbe risultare di difficile comprensione: le tappe dell’evoluzione del pensiero surrealista sembrerebbero oggi retrospettivamente ricalcare i più significativi momenti della vicenda del compositore d’Arcueil. Il Surrealismo avrebbe potuto rappresentare l’approdo naturale per Satie, il quale però già dal 1920 aveva intrapreso una propria strada: riattingendo all’esperienza di Montmartre ed incoraggiato dallo ‘spirito dada’ era ritornato alla maniera popolare imponendo al pubblico una musica facile, per il popolo.
La convergenza ideologica tra il compositore e gli artisti surrealisti sarà soltanto postuma.
Per «il solo musicista che dimostrasse di avere gli occhi» la collaborazione con Picabia all’alba del 1924 si preannuncia inevitabile.

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