Vetrina Festival: Adriana Sabato “La musicalità della Divina Commedia”

 

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Da “ La Musicalità della Divina Commedia”

… il viaggio di Dante nei tre regni ultraterreni rappresentati nella Divina Commedia, si potrebbe rileggere come un tragitto musicale.
Egli rappresenta un “paesaggio sonoro”, come scrive Vincenzo Incenzo, che va dal rumore infernale alla somma armonia delle sfere celesti.
“Si potrebbe coniare in proposito, in contrapposizione al termine ‘profumo acustico’, quello di ‘fetore acustico’, definendo così in una parola quella ‘infernale musica’ che trasuda da ogni dove nella prima cantica della Commedia”.

Come osserva Francesco De Sanctis nel suo Storia della Letteratura Italiana: “L’Inferno è il regno del male, la morte dell’anima e il dominio della carne, il caos: esteticamente è il brutto. Dicesi che il brutto non sia materia d’arte e che l’arte sia la rappresentazione del bello. (…) non è arte il confuso, l’incoerente, il dissonante (…)”.

Ma “il brutto è elemento necessario così nella natura come nell’arte. (…) la vita è generata appunto da questa contraddizione tra il vero e il falso, il bene e il male, il bello e il brutto” (…).
bene chiarire che nel corso del Medioevo il concetto di dissonanza e di armonia non era ancora definito in quanto la tecnica musicale intesa come scienza (e quindi come sviluppo del linguaggio musicale), era appena agli albori: in particolare, erano definite “armonie” le combinazioni consonanti di ottava, quarta e quinta, mentre gli altri intervalli musicali erano ritenuti dissonanti.
L’armonia d’altronde era un risultato, una conseguenza della polifonia (che dal sec. XIV in poi si disse “contrappunto”), ma non era uno degli scopi da raggiungere, come invece fu più tardi.
Nei secoli X-XII, appunto, si sviluppò la polifonia o intreccio di più voci senza deliberata base armonica: si faceva in modo che le voci producessero date combinazioni armoniche, per evitare urti, ma senza curare che ne risultasse un’armonia piuttosto piena che vuota, o governata da una qualche logica.

Questo concetto “non armonico” durò – nella teoria – fino al sec. XVI; ma in realtà andava attuandosi una continua evoluzione dell’armonia.

Tornando a Dante, il viaggio prosegue attraverso il Purgatorio, ove le anime ritornano al loro stato primigenio grazie alla musica instrumentalis e si accordano come gli strumenti al suono della musica universale, consentendo alla musica humana di tornare a regnare incontrastata: il percorso si concluderà nella totale eufonia del Paradiso.

“Tutta la cantica – scrive Sergio Mangiavillano – ha come sfondo suoni e inni gradevoli, sino alla sommità del monte dove si realizza il completo raggiungimento della emendatio animae e gli spiriti trovano finalmente un accordo con sé stessi, governati dalla musica mundana”.
Si materializza nel Purgatorio quel potere catartico della musica, tanto caro alla scuola pitagorica, “uno dei concetti più importanti dell’antichità classica, in base al quale la musica intesa come medicina, come ‘purificazione dell’anima’, viene ad acquisire una carica etica e pedagogica mai teorizzata con tanto rigore”.

Nel Paradiso la musica, superando più che mai il dato tecnico, è il riflesso dell’armonia dell’ordine del cosmo; oltrepassa perciò, l’intelletto umano e le sue conoscenze.
Ecco che nei primi cento versi del Paradiso avviene l’incontro di Dante, qui protagonista, con la musica delle sfere proprio quando egli varca insieme a Beatrice, la sfera del fuoco per entrare nel primo cielo, quello della Luna:

Quando la rota, che tu sempiterni
Desiderato, a sé mi fece atteso,
Con l’armonia che temperi e discerni,
Parvemi tanto, allor, del cielo acceso
De la fiamma del sol, che pioggia o fiume
Lago non fece mai tanto disteso.

“Più che descrizione – scrive ancora Mangiavillano – la poesia del Paradiso è contemplazione; non a caso, a conclusione della cantica, gli strumenti umani del linguaggio sono insufficienti e l’unico modo per esprimere l’inesprimibile forma di musica è il silenzio”:

A l’alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e il velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle.

L’Inferno, che si annuncia come luogo del disordine e della ribellione, del rumore e della dissonanza, si pone in netta antitesi con l’armonia delle altre due cantiche, creando un contrasto che evidenzia maggiormente la bellezza dell’intero poema.
Non appare lontana l’armonia del Paradiso, anzi il contrasto fra gli orrori infernali e il progressivo passaggio attraverso il Purgatorio, verso l’ineffabilità del regno superiore, contribuisce a conferire all’opera l’aspetto di un grande affresco dei luoghi dell’aldilà, un evidente effetto di chiaroscuro, “all’interno di una dimensione continua che sfuma, senza soluzione di tale continuità, dall’uno all’altro estremo”. Quella “accorta e ben dosata mescolanza di immagini di perfezione, con altre che di perfezione sono prive”.

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